Erbario #5
novembre 2021
Parlano poco gli alberi, si sa.
Passano tutta la vita meditando
e muovendo i loro rami.
Basta guardarli in autunno
quando si riuniscono nei parchi:
soltanto i più vecchi conversano,
quelli che donano le nuvole e gli uccelli,
ma la loro voce si perde tra le foglie
e assai poco percepiamo, quasi niente.
È difficile riempire un piccolo libro
coi pensieri degli alberi.
Tutto in essi è vago, frammentario.
Oggi, ad esempio, mentre ascoltavo il grido
di un tordo nero, di ritorno verso casa,
grido ultimo di chi non attende un’altra estate,
ho capito che nella sua voce parlava un albero,
uno dei tanti,
ma non so cosa fare di quel grido,
non so come trascriverlo.
Passano tutta la vita meditando
e muovendo i loro rami.
Basta guardarli in autunno
quando si riuniscono nei parchi:
soltanto i più vecchi conversano,
quelli che donano le nuvole e gli uccelli,
ma la loro voce si perde tra le foglie
e assai poco percepiamo, quasi niente.
È difficile riempire un piccolo libro
coi pensieri degli alberi.
Tutto in essi è vago, frammentario.
Oggi, ad esempio, mentre ascoltavo il grido
di un tordo nero, di ritorno verso casa,
grido ultimo di chi non attende un’altra estate,
ho capito che nella sua voce parlava un albero,
uno dei tanti,
ma non so cosa fare di quel grido,
non so come trascriverlo.
Eugenio Montejo, Gli alberi in “Alcune parole”

Nocciolo
(Corylus avellana L.)
famiglia
Betulacee
L’albero, noto per i suoi frutti, cresce nei boschi e nelle macchie di tutta Europa. Ha foglie rotondeggianti, con margine doppiamente dentato. Le nocciole compaiono avvolte da brattee dalle quali si liberano una volta giunte a maturazione.
Pare siano stati i romani a identificare per primi questa pianta denominandola “Avellana” da “Abella”, nome latino di Avella Vecchia, in provincia di Avellino, anticamente rinomata per le sue nocciole.