Come si curano gli indiani: guna e ayurveda

Noi possiamo pensare, con un pizzico di materialismo, che un oggetto o anche una creatura vivente sia costituito da diversi materiali mescolati. Se noi ragioniamo in termini di materiali, per esempio acqua aria fuoco terra, gli indiani ragionano in termini di qualità: i guna.

Essi ritengono che tutta la manifestazione sia costituita da tre aspetti, termine più adatto che non “elementi” proprio perché evita l’identificazione con gli elementi della filosofia occidentale: sattva, luminoso e aereo, bianco; rajas, impetuoso e mobile, legato al rosso; tamas, greve e ostruttivo, passivo, legato al nero.

«Sattva, rajas e tamas, i guna
che hanno origine nella natura,
legano nel corpo, o eroe dalle grandi braccia,
l’inalterabile spirito che abita il corpo».

I guna sembrano una sorta di collegamento tra lo spirito e il fisico-psichico.

«Fra essi il sattva, essendo immacolato,
è illuminante e salutare,
e lega con l’interesse alla gioia
e con l’interesse alla conoscenza (…).

Sappi che il rajas è fatto di passione
e proviene da sete e attaccamento;
esso lega lo spirito che abita il corpo
con l’attaccamento all’azione (…).

Sappi poi che il tamas, nato dall’ignoranza,
fuorvia tutti quelli che hanno un corpo;
esso lega con la distrazione, la pigrizia
e la sonnolenza (…).»

«Il sattva provoca attaccamento alla gioia,
il rajas all’azione (…)
e il tamas, ricoprendo la conoscenza,
provoca attaccamento alla distrazione.»1

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Giuliano Boccali

Professore di Indologia e Lingua e Letteratura Sanscrita all’Università degli Studi di Milano fino al 2014. Ha curato le edizioni italiane di alcuni tra i capolavori della letteratura indiana classica, in particolare: Nuvolo messaggero, Le stanze dell’amor furtivo, Gītagovinda e Kàlidàsa. La storia di Śiva e Pārvatī.

Un errore che si compie spesso è attribuire all’India una generica spiritualità: non è vero. Si tiene in gran conto a quale livello operare: la medicina opera sul piano dei mahabhuta.
©Fabian F., Tempio Jain a Ranakpur
©Fabian F., Tempio Jain a Ranakpur

Gli indiani analizzano tutto attraverso la teoria dei guna.

Per esempio, nell’approfondire il tema della salute si scopre che nel corpo uno squilibrio dell’elemento tamasico fa altrettanto male che uno squilibrio dell’elemento sattvico sul piano spirituale: il progresso consiste nell’alimentare dentro di sé gli stati psicologico-affettivi sattvici e nel decongestionare gli altri. La questione è capire come gli indiani alimentano alcuni stati e ne decongestionano altri. Per esempio, (…) un incremento del sattva, attraverso la pratica dello yoga, rallenta e placa. Senza pretendere di farsene una vera e propria competenza, si può riflettere su qualche elemento di medicina ayurvedica per comprendere come agiscono questi principi generali, originari della mentalità e della civiltà indiana. Ayurveda vuol dire «scienza dell’età»: ayur «età» e veda «conoscenza». Secondo gli indiani – l’affermazione è di Charaka, grande medico chirurgo: «Tutte le cose sono costituite dai cinque elementi: terra fuoco aria acqua etere». Un errore che si compie spesso è attribuire all’India una generica spiritualità: non è vero. Gli indiani tengono in gran conto a quale livello si deve operare: la medicina deve operare sul piano dei mahabhuta, degli elementi grossi (etere aria fuoco acqua terra).

Tutto è sacro in India

Questo articolo, di Giuliano Boccali, è tratto dal capitolo “I guna e l’ayurveda” di Tutto è sacro in India (Edizioni di Maieutica): in esso si introduce il tema della salute nella cultura indiana, fondata su un pensiero che non ha corrispettivi nel mondo occidentale e che annovera tra i suoi capisaldi la relazione tra la parte e il tutto e le classi sociali.

Liberarsi dalle sofferenze del samsara.

Non va tralasciato, poi, che tutte le elaborazioni della civiltà indiana sono ispirate alla finalità di liberarsi dalle sofferenze del samsara, attraverso una ricerca praticata al massimo livello. Prendiamo il problema della conoscenza: in Occidente Aristotele lo risolve affermando che la filosofia è conoscenza per se stessa; gli indiani, il Buddha, per esempio, e i filosofi hindu sostengono che la filosofia è conoscenza per arrivare alla liberazione. In questo senso la visione induista assomiglia a quella cristiana. Naturalmente gli elementi grossi sono in relazione con i guna. E ciò significa che è mantenuta sempre una relazione tra macrocosmo e microcosmo. Il concetto chiave dell’ayurveda è quello di dosha, termine che viene in genere, ma impropriamente, tradotto con «umore». I dosha sono: il «vento», vata, che però non coincide con il vento come elemento grosso; la «bile», pitta; e il «flegma», kapha. (…) Il termine dosha deriva da una radice verbale che significa «corrompere, distruggere, perire»; in linguaggio non medico significa «errore, sbaglio». A questi dosha infatti mettono capo i vizi che guastano, infettano: non perché i tre dosha siano in sé infettivi, ma perché diventano patogeni se la loro proporzione si altera. I dosha, agenti patogeni quando si squilibrano e forze vitali quando sono in equilibrio, risiedono prevalentemente in determinati organi, scorrono attraverso certi canali, sono in proporzioni che variano da individuo a individuo e che mutano secondo le stagioni o persino secondo il momento del giorno e della notte. Se i dosha sono in equilibrio, tenendo conto di fattori soggettivi, oggettivi e climatici, l’essere umano è in salute. Di conseguenza la malattia è vista come squilibrio ed è prodotta da un’alterazione delle proporzioni dei dosha che ecceda i limiti naturali. Che cosa ne deriva?
Uno dei più importanti aforismi della filosofia Hindu recita: «I Guna ritornano». Significa che, secondo la dottrina del cambiamento continuo, nulla può restare in una fase in cui uno dei Guna sia predominante; denso e sordo che possa essere, arriverà tuttavia un momento in cui inizia a muoversi. La fine e la ricompensa dello sforzo è uno stato di quiete lucida che, tuttavia, tende a ritornare allo stato di inerzia originale.

Prevenzione.

Ne deriva che l’ayurveda punta soprattutto sulla prevenzione e su uno stile di vita appropriato. Punta quindi su particolari prassi nella vita quotidiana, alcune delle quali sarebbero per noi particolarmente ostiche, come la levata tra le 4 e le 5 del mattino e la dieta. Una teoria molto interessante si basa sui sei sapori, anche se in realtà i sapori analizzati con criteri moderni sono quattro. Attenzione, non bisogna confondere, neanche in Occidente, i sapori con gli aromi perché gli aromi sono migliaia, i sapori sono quattro: dolce, salato, acido e amaro, a cui gli indiani aggiungono piccante e astringente. Ognuno di questi sapori è in relazione con i dosha: i sapori dei diversi cibi che ingeriamo esercitano un’azione dietetica ed eventualmente un’azione terapeutica. Per esempio, secondo la trattazione tradizionale di un medico indiano, il sapore astringente di certa frutta, soprattutto acerba, o di certi vini rossi riduce il kapha e il pitta, asciuga i liquidi organici, ha effetto dimagrante, purifica il sangue e guarisce i disturbi dermatologici; quando invece è in eccesso provoca sofferenze cardiache, dolori al petto e così via. L’intenzione è di tenere insieme i sapori che fanno riferimento ai vari dosha, i quali a loro volta rimandano ai diversi guna. Il principio dei guna interviene nella costituzione degli elementi grossi, i quali in varie proporzioni sono presenti nei dosha, e agiscono altrettanto nei sapori: una rete tiene unito tutto.

Chi possiede equilibrio di dosha, agni, dhatu, e mala, insieme con l’anima i sensi e il pensiero felici, questi è detto un individuo perfettamente sano.
La ruota del divenire: rappresentazione artistica e filosofica del ciclo delle reincarnazioni (samsara)
©Tommy Nelson, Un mosaico del Mor Chowk (cortile dei pavoni) nel Palazzo di città di Udaipur

Un uomo intero.

È vero che i medici indiani partono da una visione materialista della medicina, però in questo materialismo tengono sempre presente il tutto, cioè anche gli aspetti che l’Occidente considera invece di gusto, di estetica. Non solo. L’uomo, inteso dalla scienza medica solamente in relazione agli elementi grossi, è considerato negli altri aspetti che lo costituiscono da un principio molto interessante che possiamo ravvisare nella definizione di uomo sano data da Sushruta: «Chi possiede equilibrio di dosha [i tre principi che controllano le funzioni del corpo], agni, [letteralmente fuoco], dhatu [tessuti, come quelli muscolari e ossei, o il sangue], e mala [secrezioni ed escrezioni], insieme con l’anima i sensi e il pensiero felici, questi è detto un individuo perfettamente sano». (…) Dal piano materiale l’attenzione si sposta fino a coinvolgere l’aspetto della relazione con le proprie attività e la relazione all’interno della comunità nella quale si vive: la cura di un medico indiano, che ai nostri occhi può parere assurda, di fronte a qualsiasi genere di disturbo, viene strutturata a partire dall’idea di disagio che investe tutte le zone, fisica psichica e sociale. Questi piani interferiscono l’uno con l’altro e lo stesso disturbo può avere cause diverse, e sarà curato a partire dall’uno o dall’altro piano, a seconda delle circostanze: un mal di testa (piano fisico) può essere curato con una “maggiore dose di preghiere” (piano spirituale) e con una minore esposizione sociale a certe situazioni, a certe persone (piano sociale), terapia a cui il medico indiano unirà certamente una dieta, carente di alcuni alimenti e ricca di altri (piano fisico).■

1. Bhagavad-Gītā (Il canto del glorioso signore), San Paolo 1994 in Giuliano Boccali, Tutto è sacro in India, Edizioni di Maiuetica, 2011

Come si curano gli indiani: guna e ayurveda

Noi possiamo pensare, con un pizzico di materialismo, che un oggetto o anche una creatura vivente sia costituito da diversi materiali mescolati. Se noi ragioniamo in termini di materiali, per esempio acqua aria fuoco terra, gli indiani ragionano in termini di qualità: i guna.

Essi ritengono che tutta la manifestazione sia costituita da tre aspetti, termine più adatto che non “elementi” proprio perché evita l’identificazione con gli elementi della filosofia occidentale: sattva, luminoso e aereo, bianco; rajas, impetuoso e mobile, legato al rosso; tamas, greve e ostruttivo, passivo, legato al nero.

«Sattva, rajas e tamas, i guna
che hanno origine nella natura,
legano nel corpo, o eroe dalle grandi braccia,
l’inalterabile spirito che abita il corpo».

I guna sembrano una sorta di collegamento tra lo spirito e il fisico-psichico.

«Fra essi il sattva, essendo immacolato,
è illuminante e salutare,
e lega con l’interesse alla gioia
e con l’interesse alla conoscenza (…).

Sappi che il rajas è fatto di passione
e proviene da sete e attaccamento;
esso lega lo spirito che abita il corpo
con l’attaccamento all’azione (…).

Sappi poi che il tamas, nato dall’ignoranza,
fuorvia tutti quelli che hanno un corpo;
esso lega con la distrazione, la pigrizia
e la sonnolenza (…).»

«Il sattva provoca attaccamento alla gioia,
il rajas all’azione (…)
e il tamas, ricoprendo la conoscenza,
provoca attaccamento alla distrazione.»1

Un errore che si compie spesso è attribuire all’India una generica spiritualità: non è vero. Si tiene in gran conto a quale livello operare: la medicina opera sul piano dei mahabhuta.
©Fabian F., Tempio Jain a Ranakpur
©Fabian F., Tempio Jain a Ranakpur

Gli indiani analizzano tutto attraverso la teoria dei guna.

Per esempio, nell’approfondire il tema della salute si scopre che nel corpo uno squilibrio dell’elemento tamasico fa altrettanto male che uno squilibrio dell’elemento sattvico sul piano spirituale: il progresso consiste nell’alimentare dentro di sé gli stati psicologico-affettivi sattvici e nel decongestionare gli altri. La questione è capire come gli indiani alimentano alcuni stati e ne decongestionano altri. Per esempio, (…) un incremento del sattva, attraverso la pratica dello yoga, rallenta e placa. Senza pretendere di farsene una vera e propria competenza, si può riflettere su qualche elemento di medicina ayurvedica per comprendere come agiscono questi principi generali, originari della mentalità e della civiltà indiana. Ayurveda vuol dire «scienza dell’età»: ayur «età» e veda «conoscenza». Secondo gli indiani – l’affermazione è di Charaka, grande medico chirurgo: «Tutte le cose sono costituite dai cinque elementi: terra fuoco aria acqua etere». Un errore che si compie spesso è attribuire all’India una generica spiritualità: non è vero. Gli indiani tengono in gran conto a quale livello si deve operare: la medicina deve operare sul piano dei mahabhuta, degli elementi grossi (etere aria fuoco acqua terra).

Liberarsi dalle sofferenze del samsara.

Non va tralasciato, poi, che tutte le elaborazioni della civiltà indiana sono ispirate alla finalità di liberarsi dalle sofferenze del samsara, attraverso una ricerca praticata al massimo livello. Prendiamo il problema della conoscenza: in Occidente Aristotele lo risolve affermando che la filosofia è conoscenza per se stessa; gli indiani, il Buddha, per esempio, e i filosofi hindu sostengono che la filosofia è conoscenza per arrivare alla liberazione. In questo senso la visione induista assomiglia a quella cristiana. Naturalmente gli elementi grossi sono in relazione con i guna. E ciò significa che è mantenuta sempre una relazione tra macrocosmo e microcosmo. Il concetto chiave dell’ayurveda è quello di dosha, termine che viene in genere, ma impropriamente, tradotto con «umore». I dosha sono: il «vento», vata, che però non coincide con il vento come elemento grosso; la «bile», pitta; e il «flegma», kapha. (…) Il termine dosha deriva da una radice verbale che significa «corrompere, distruggere, perire»; in linguaggio non medico significa «errore, sbaglio». A questi dosha infatti mettono capo i vizi che guastano, infettano: non perché i tre dosha siano in sé infettivi, ma perché diventano patogeni se la loro proporzione si altera. I dosha, agenti patogeni quando si squilibrano e forze vitali quando sono in equilibrio, risiedono prevalentemente in determinati organi, scorrono attraverso certi canali, sono in proporzioni che variano da individuo a individuo e che mutano secondo le stagioni o persino secondo il momento del giorno e della notte. Se i dosha sono in equilibrio, tenendo conto di fattori soggettivi, oggettivi e climatici, l’essere umano è in salute. Di conseguenza la malattia è vista come squilibrio ed è prodotta da un’alterazione delle proporzioni dei dosha che ecceda i limiti naturali. Che cosa ne deriva?
Uno dei più importanti aforismi della filosofia Hindu recita: «I Guna ritornano». Significa che, secondo la dottrina del cambiamento continuo, nulla può restare in una fase in cui uno dei Guna sia predominante; denso e sordo che possa essere, arriverà tuttavia un momento in cui inizia a muoversi. La fine e la ricompensa dello sforzo è uno stato di quiete lucida che, tuttavia, tende a ritornare allo stato di inerzia originale.

Prevenzione.

Ne deriva che l’ayurveda punta soprattutto sulla prevenzione e su uno stile di vita appropriato. Punta quindi su particolari prassi nella vita quotidiana, alcune delle quali sarebbero per noi particolarmente ostiche, come la levata tra le 4 e le 5 del mattino e la dieta. Una teoria molto interessante si basa sui sei sapori, anche se in realtà i sapori analizzati con criteri moderni sono quattro. Attenzione, non bisogna confondere, neanche in Occidente, i sapori con gli aromi perché gli aromi sono migliaia, i sapori sono quattro: dolce, salato, acido e amaro, a cui gli indiani aggiungono piccante e astringente. Ognuno di questi sapori è in relazione con i dosha: i sapori dei diversi cibi che ingeriamo esercitano un’azione dietetica ed eventualmente un’azione terapeutica. Per esempio, secondo la trattazione tradizionale di un medico indiano, il sapore astringente di certa frutta, soprattutto acerba, o di certi vini rossi riduce il kapha e il pitta, asciuga i liquidi organici, ha effetto dimagrante, purifica il sangue e guarisce i disturbi dermatologici; quando invece è in eccesso provoca sofferenze cardiache, dolori al petto e così via. L’intenzione è di tenere insieme i sapori che fanno riferimento ai vari dosha, i quali a loro volta rimandano ai diversi guna. Il principio dei guna interviene nella costituzione degli elementi grossi, i quali in varie proporzioni sono presenti nei dosha, e agiscono altrettanto nei sapori: una rete tiene unito tutto.

Chi possiede equilibrio di dosha, agni, dhatu, e mala, insieme con l’anima i sensi e il pensiero felici, questi è detto un individuo perfettamente sano.
La ruota del divenire: rappresentazione artistica e filosofica del ciclo delle reincarnazioni (samsara)
©Tommy Nelson, Un mosaico del Mor Chowk (cortile dei pavoni) nel Palazzo di città di Udaipur

Un uomo intero.

È vero che i medici indiani partono da una visione materialista della medicina, però in questo materialismo tengono sempre presente il tutto, cioè anche gli aspetti che l’Occidente considera invece di gusto, di estetica. Non solo. L’uomo, inteso dalla scienza medica solamente in relazione agli elementi grossi, è considerato negli altri aspetti che lo costituiscono da un principio molto interessante che possiamo ravvisare nella definizione di uomo sano data da Sushruta: «Chi possiede equilibrio di dosha [i tre principi che controllano le funzioni del corpo], agni, [letteralmente fuoco], dhatu [tessuti, come quelli muscolari e ossei, o il sangue], e mala [secrezioni ed escrezioni], insieme con l’anima i sensi e il pensiero felici, questi è detto un individuo perfettamente sano». (…) Dal piano materiale l’attenzione si sposta fino a coinvolgere l’aspetto della relazione con le proprie attività e la relazione all’interno della comunità nella quale si vive: la cura di un medico indiano, che ai nostri occhi può parere assurda, di fronte a qualsiasi genere di disturbo, viene strutturata a partire dall’idea di disagio che investe tutte le zone, fisica psichica e sociale. Questi piani interferiscono l’uno con l’altro e lo stesso disturbo può avere cause diverse, e sarà curato a partire dall’uno o dall’altro piano, a seconda delle circostanze: un mal di testa (piano fisico) può essere curato con una “maggiore dose di preghiere” (piano spirituale) e con una minore esposizione sociale a certe situazioni, a certe persone (piano sociale), terapia a cui il medico indiano unirà certamente una dieta, carente di alcuni alimenti e ricca di altri (piano fisico).■

1. Bhagavad-Gītā (Il canto del glorioso signore), San Paolo 1994 in Giuliano Boccali, Tutto è sacro in India, Edizioni di Maiuetica, 2011